V-Dias

dal 17 giugno 2009 a seguire, Benni e Massi in vacanza ad oltranza.

lunes, 26 de abril de 2010

guadalquivir


Mio padre

Ho già quasi un ritratto
del mio buon padre, nel tempo,
ma il tempo se lo porta via.

Mio padre, cacciatore, -sulla riva
del Guadalquivir, un giorno, luminoso!-
ecco la canna azzurra del fucile
e del tiro sicuro il fumo bianco!

Mio padre nel giardino della nostra casa,
mio padre, tra i suoi libri, che lavora.

Gli occhi grandi, l'alta fronte,
il viso carno, i baffi lisci.
Mio padre scrive -caratteri minuti-
medita, sogna, soffre, parla forte.

Passeggia - Oh padre mio , ancora,
sei lì, e il tempo non ti ha cancellato!
Sonopiù vecchio di quanto eri tu,
padre mio, quando mi baciavi.
Ma nel ricordo, sono anora il bambino
che tu portavi nella mano.
Molti anni passarono senza che io ti ricordassi,
padre mio!
Dove stavi tu in quegli anni?

Mi padre

Ya casi tengo un retrato
de mi buen padre, en el tiempo,
pero el tiempo se lo va llevando.

Mi padre, cazador -en la ribera
de Guadalquivir ¡en un día tan claro!-
-es el cañón azul de su escopeta
¡y del tiro certero el humo blanco!-.

Mi padre en el jardín de nuestra casa
mi padre, entre sus libros, trabajando.

Los ojos grandes, la alta frente,
el rostro enjuto, los bigotes lacios.
Mi padre escribe -(letra diminuta-)
medita, sueña, sufre, habla alto.

Pasea -¡oh padre mío!-. Todavía
estás ahí, ¡el tiempo no te ha borrado!
Ya soy más viejo que eras tú,
padre mío, cuando me besabas.
Pero en el recuerdo, soy también el niño
que tú llevabas de la mano.
Muchos años pasaron sin que yo te recordase,
¡padre mío!
¿Dónde estabas tú en esos años?

Antonio Machado

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Al Andalus: cordobesa de los pies a la cabeza



Il viaggio andaluso ci ha portato a cordoba. Da granada l'autobus ci ha scortato attraverso interminabili colline di ulivi, paesini bianchi e ancora ulivi, ulivi, ulivi a non finire.
Sullo sfondo man mano ci allontanavamo da granada risaltava il bianco della neve della sierra nevada.
Cordoba ci accoglie con una temperatura diversa. Qui è giá estate da un mesetto e il sole finalmente picchia. Muniti dell'ormai consunto trolley rosso e dei logori zainetti da scuola media ci incamminiamo in direzione della nostra nuova casa. Da valencia abbiamo contrattato un affitto per un appartamento condiviso con una coppia mista, lei veronese, lui di cordoba.
Siamo nella primissima periferia della cittá, con una passeggiata di 20 minuti siamo sotto la moschea, nel pieno centro preso d'assedio dai turisti. Siamo in regime Sparta, come del resto tutti gli appartamenti da studenti che si rispettino, con mobili spaiati e mezzi rotti, una cucina un po' andante e reperti fossili un po' ovunque. Ma per la cifra basta e avanza. ah, abbiamo anche il letto leopardato!

Vicini alla stazione dei treni e degli autobus, non troppo nel caos turistico e con una tienda araba sotto casa che vende delle pitte spaziali. Ciccio, quando è venuto a trovarci, lo aveva definito il pane mandato dal signore (o da halla! a seconda dei punti di vista).
Visto che abbiamo parecchio tempo davanti a noi, almeno un mesetto buono, ce la siamo presi con comodo. È bello scoprire la cittá poco per volta e anche imparare ad orientarsi ed anche annoiarsi di alcuni luoghi. Nelle prime giornate abbiamo camminato parecchio, per la sola bellezza del centro, della case con i patio seminascosti, i balconi fioriti, gli scorci da paese di mare senza il mare. Vicoli e vicoletti mandano indietro nel tempo, quando cordoba e l'andalusia erano il simbolo della dominazione araba. Cordoba come granada fanno rivalutare tantissimo questa cultura di cui non sappiamo quasi niente.
Questa settimana era in programma una serie di piccoli concerti, musica de las tres culturas, con gruppi in unplugged che hanno presentato stili diversi. In uno scenario suggestivo come quello di una vecchia chiesa ristrutturata ma nella quale sono ancora ben visibili i segni del tempo. abbiamo provato anche la specialitá del posto: il salmorejo, una specie di salsa di pomodoro con aglio e pezzetti di prosciutto. nel bar facevano delle frittate che sembravano dei panettoni.
Alla sera qualche goccia d'acqua ha rinfrescato la situazione ma in generale si sta con le finestre aperte tutto il giorno e anche un po' di notte. La nostra stanza dá su lucernario sul quale si affacciano diversi appartamenti e come una cassa di risonanza si possono ascoltare le chiacchiere dei vicini, le canzoni della radio, gli odori di cibo, lo sbattere delle uova per fare le frittate, i raschi imperterriti di uno che non sta un granchè bene.
Cordoba è piccolina molto a misura d'uomo e i cordobesi appaiono molto simili agli storici abitanti del nostro sud italia, rumorosi, amanti della strada, del mangiare e bere a tutte le ore, del fare festa.
È strano essere qui dopo 10 mesi di valencia. Stare in un appartamento rende la situazione paradossalmente molto familiare mentre siamo completamente sradicati in questo nuovo mondo tutto da conoscere. Abbiamo fatto la tessera della biblioteca e questo ci ha reso un po' più partecipi della comunitá cordobese ma il non avere le biciclette è una bella menomazione. A valencia proprio l'acquisto delle 2 ruote ci avevo reso ufficialmente cittadini valenciani.
Il cuore della cittá è attraversato da un fiume per me molto famoso, il guadalquivir. 25 anni or sono la mia maestra delle elementari aveva deciso di farci imparare a memoria una poesia di machado in cui si parlava di questo fiume che da allora mi è rimasto in testa come un nome prezioso. Ritrovarlo dal vero è stata una bella sensazione. Sul ponte romano che unisce la mezquita con l'altra parte della cittá si vede il fiume scorrere veloce, mentre le coppiette e le scolaresche passeggiano e fanno baccano.
Gli andalusi parlano un castellano un po' più stretto, senza le s e smorzando alcune parole così de nada diventa dena' e jesus diventa ozù. Questa settimana abbiamo conosciuto Auri, un'amica della nostra padrona di casa. Nel solito scambio ormai classico e tutto di un fiato sul da dove vieni: desdeitalianelnorteenunaciudadpequenareggioemiliacercadeboloniaymilan, auri ci ha illuminato dicendo con orgoglio che invece lei è proprio di qui.
Cordobeña?
No cordobesa, de los pies a la cabeza.

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miércoles, 21 de abril de 2010

Granada, impressioni.


per due mattine ci ha svegliati il cielo a nuvoloni compatti, a tratti come gocciolando da un pennino gigante squarci di blu che in pochi minuti si espandono e prendono tutto il cielo fino a piano piano ritirarsi in nuvoloni bianchi, grigi compatti. un giorno di cielo azzurro totale, come un anticipo dell'estate che sara'.

Le luci bianche e gialle delle strade che rimangono comunque un po' buie, in ombra, inquietanti nelle notti gia' animate ma che ancora, dopo un certo orario, si svuotano. Le strade con le costruzioni alte e spesse del centro che non fanno passare i suoni e ti trovi a camminare in una piazzetta circondata da locali pieni di gente e puoi comunque ascoltare il gorgoglio delle mille fontane che costellano la citta', infatti, come ci ha spiegato Nicolas, la guida pazza dell'ostello, ogni chiesa ha una fontana visto che in origine era una moschea e che per entrare si entrava scalzi e con i piedi e le mani lavate.
Visitare le sale multidimensionali dell'alhambra, i soffitti a scatole concentriche, le pareti decorate o dipinte minuziosamente con dimensioni, colori, spessori pensati, calcolati e perfetti con un rigore matematico che permette all'occhio di apprezzare, pensare, rilassarsi, al cervello di proiettarsi oltre, come se ogni ambiente fosse un'anticamera della stanza spirituale che l'artista ha immaginato. I colori, i profumi , i suoni dei giardini, tutto arricchito dall'essere entrati con la pioggia e usciti ai giardini con il sole, tutte le piante, le foglie, le gemme e i petali rilucenti di mille e mille prismi arcobaleno.
I locali sono tutti belli, piu' o meno turistici e pacchiani ma curati, colorati, accoglienti, tutti ti fanno venire voglia di entrare e fermarti un po', assaggiare qualcosa, vedere cosa succede (perche' succede sempre qualcosa), unico neo, qui come a valencia e come piu' o meno in tutta spagna il fatto di fumare nei locali chiusi . Tutt'estate non ci si accorge di quanto si fumi finche' non ti tocca farti l'inverno al chiuso e tornare a casa e dover mettere tutti i vestiti da lavare perche' davvero non c'e' altro da fare...
poter parlare e capire bene lo spagnolo e' il valore aggiunto in questi viaggi dove ogni citta' sembra gia' meno straniera, dove assistere allo spettacolo dell'illusionista Mago Migue che per la meta' e' cabaret e ridere al momento giusto e a seguire poter andare a vedere Alice nel paese delle meraviglie allo spettacolo di mezzanotte per 3 euro anche se e' appena uscito in una sala semi vuota...
cosi' come lo spettacolo di poesie recitate con accompagnamento jazz e il concorso per cantautori...
in andalucia lo spagnolo e' diverso, la parte finale delle parole si perde in un mormorio o non esiste proprio, come la esse, cavallo di battaglia di qualsiasi spagnolo maccheronico, qui non c'e' piu'. Abituati alle chiacchiere di Ale nel suo spagnolo argentino siamo molto piu' preparati ma in effetti il cambio e' impressionante!
La salita a piedi al sacromonte permette di lasciare la citta' il borghetto e i locali di flamenco spennaturisti per arrivare (sudando un po') al verde dei campi, ai mille fiorellini che danno sfumature alla valle e a poter ammirare oltre l'alhambra e le prime montagne la distesa abbacinante della sierra nevada, dal centro di granada non ci pensi a quanto sia vicina, solo quella sensazione di condizionatore acceso quando soffia un po' il vento te lo ricorda di quando in quando.
Nella discesa e' ancora piu' impressionante il cammino di rientro, attraverso i prati, le grotte piu' o meno sistemate, che poco a poco si convertono in case, in borghetto bianco, in stradine che diventano strade e poi piazze e poi traffico e i suoni che, colonna sonora perfetta, cambiano con l'andare.
Tre giorni e mezzo a granada, sembrano sei per quanta luce c'e' stata, tanta da aspettare il tramonto verso le otto e mezza e alle nove e mezza essere ancora li'. Ad aspettare.

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martes, 20 de abril de 2010

Al Andalus: granada tirolese


ciao ciao granada. Veloci son passati questi primi 3 giorni in terra andalusa e la nostra prima tappa al sud è giá al tempo dei saluti.

È bella granada, piccola e graziosa con i suoi quartieri di pietra e roccia bianca, i mercati, le teterie e i dolci arabi, il via vai incessante di gente a tutte le ore. La cittá si gira facilmente a piedi e con una passeggiata un po' più lunga si può arrivare sulle colline che chiudono la parte alta.

Come uno specchio si riflettono l'una nell'altra l'alhambra (l'enorme e sfarzosa fortezza araba) e le caverne del sacromonte abitate da gitani, punkabbestia e immigrati. Da un lato e dall'altro del fiume di oro è possibile così vedere la contraddizione di granada, tanto bella e turistica per tante cose, come disumana per altre. Tra la miriade di vetrine che riempiono le strade abbiamo incontrato una quantitá di relitti, mendicanti, disperati come da tempo non ci capitava di vedere.

Tutto il quartiere di albaycin brulica di giovani, per lo più viaggiatori del nord europa e studenti: l'universitá qui fa 80.000 dei 250.000 abitanti totali.

Siamo arrivati alla stazione di granada alle 8 del mattino dopo un viaggio poco riposante, stipati in cabine-letto di 4 persone. Passeggiata infinita senza cartine e con le indicazioni dei passanti alla ricerca del nostro primo ostello. Nell'atmosfera irreale delle prime ore di luce del sabato mattina la cittá appare deserta e il quartiere arabo con tutti i negozi chiusi e radi passanti ricorda come disegno le strade viste a gerusalemme. L'ostello è una casa araba ristrutturata con patio interno e terrazzo con vista sulla sierra nevada, non a caso ancora piena di neve. Invaso da giovani e meno giovani tendenzialmente asiatici o di lingua inglese, in tutto una novantina. Siamo in una stanza da 10 con bagno condiviso ma dei nostri coinquilini avremo notizie solo alle prime luci dell'alba, a parte una silenziosa ragazza giapponese che dormiva sotto il letto della benni.

Il posto è accogliente, c'è una bella cucina dove si può cucinare e questo ha giovato alle nostre scarse finanze. Fare il turista con poco è davvero un'impresa titanica e appare evidente, dopo le 2 settimane da raul in cui il portafogli è rimasto in valigia, che qui per ogni cosa bisogna cacciare la pila, o pasta o pavos come dicono in spagna (plata in argentina). Facciamo un giro della cittá scortati da un ragazzo inglese pazzoide che per due ore fa teatro mixando un inglese velocissimo con un pessimo spagnolo, spiegando la storia di granada e i retroscena demenziali dei vari palazzi, musei, quartieri, monumenti lungo il nostro cammino. Il tempo è quello che è: quest'anno in andalusia ha piovuto come non si vedeva da anni e anche noi ci siamo sorbiti la nostra dose di lluvia attrezzati un po' alla sperindio visto che il poco bagaglio portato con noi prevedeva un'estate più o meno avanzata e non sprazzi di tirolo come abbiamo sperimentato.

L'alhambra è una cittadella imponente, piena di fiori, alberi, fontane e con palazzi abbelliti da infinite decorazioni geometriche e frasi arabe. C'è sempre tanta gente ma ci si disperde bene camminando qua e là.

Il giorno dopo cambiano ostello e la pensione veracruz ci accoglie nella sua versione spartana ma più che sufficiente per 30 euro a notte. I gestori sudamericani sono di poche parole.

La parte bassa della cittá è meno appariscente e magica, più commerciale. Ci sono tante chiese e domenica tra una visita e l'altra ci siamo fatti a spezzoni una messa intera. Dentro le chiese sono molto decorate, quasi troppo, una specie di imitazione mal riuscita della perfezione araba.

Di notte le strade sono animate da concerti e i bar pieni di gente che se la passa bene nell'atmosfera ovattata delle luci soffuse. Abbiamo scoperto un piccolo bar defilato dove, nel festeggiamento del 30ennale, un illusionista molto in gamba si è meritato la standing ovation finale. Tra il pubblico c'è anche paco ibañez, una specie di fabrizio de andrè spagnolo degli anni 70.

trovare una tapa a buon mercato non è facile nonostante granada sia famosa proprio per questo. Così consumiamo i nostro pasti nella birreria di un inglese che fa le tapas calde nelle terrine di coccio, al buffet libre cinogiapponese e al vegetariano take away.

Infine despedida con il concorso per cantautori emergenti sotto la cattedrale con sorpresa finale: un famoso, per la spagna, cantante prende in mano una situazione abbastanza glaciale e la trasforma a forza di tormentoni, chitarra e fisarmonica in una inaspettata festa di balli. Addirittura anche io e la benni ne siamo risultati coinvolti.

Un salto all'alhambra per vedere che effetto fa illuminata di notte e siamo di nuovo qui, alla stazione degli autobus in direzione cordoba.


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sábado, 17 de abril de 2010

Al Andalus



Quasi mezzanotte, qui nel caffetteria della stazione di valencia, in attesa del treno che questa notte ci porterá nel sonno fino a granada. Di nuovo in viaggio con due zainetti e un trolley verso un altro pezzetto di spagna. Il cameriere intrattiene alla barra qualche anima persa della notte. Nella vetrata in bella mostra una serie impressionante di dolci che parlano di questo paese più di ogni altra cosa.
In pochi minuti saranno esattamente 10 i mesi di viaggio.
Sono stati giorni intensi questi. Tenere il punto della situazione è stato pressoché impossibile: la huerta di alcasser ha trasformato il nostro tempo, lo ha dilatato a tal punto che i 12 giorni trascorsi lì sembrano appartenere ad un'altra dimensione confinata in un luogo remoto che poco ha a che fare con la realtá. Come una piccola isola che non c'è, come diceva la benni nell'ultimo post.
Oggi mentre partivamo e sullo sfondo sfilavano la casa, il motor de agua e la huerta mi sentivo come un astronauta che a bordo della sua navicella spaziale abbandona il pianeta che ha scoperto dopo tanto girovagare.
Dopo due settimane di caos, la casa di raul è tornata al silenzio della campagna e delle rondini di inizio primavera. Tutta la truppa di pagliacci ha preso il largo verso il festival di santander e noi verso il sud della spagna.
Si affollano giá nei ricordi i tanti momenti passati in questa casa di tutti, quella strana sensazione di calma e di pace che si respira in questo luogo e che ogni volta mi stupisce. Le giornate passate a piantare cipolle, a mettere elastici intorno alle lattughe, a togliere erbacce dagli alberi del frutteto, a mettere semi minuscoli dentro a semenzai.
Antonio con i tamburi, le frittate e le torte con la marmellata in cima.
Alejandro con le palline rimbalzine da giocoliere e il suo castellano argentino.
Jimena con il mate e le percussioni con il corpo.
Elena che ricorda le parole di tutte le canzoni in inglese ma non sa cosa vogliono dire.
Letizia con il cappuccio in testa e le calze tirate su fino al ginocchio.
Raul che tutte le mattine ti saluta e ti dice: que buen dia hace hoy! Anche quando piove e il cielo è plumbeo come la più classica mattina d'inverno padano.
E tutta quella infinita compagnia di personaggi che passano di lì a dare colore, a portare cibo, a cucinare, a fare confusione, a lavare i piatti, a scambiare insalate con noci, arance e farine. Che si vede quanto questo posto li attiri come una calamita.
È incredibile quanto può essere lunga una giornata rispetto al ritmo rapidissimo con cui spesso ho sentito trascorrere i mesi in altri momenti della mia vita. Il tempo davvero si dilata e appare moltiplicarsi e alla sera quasi non riesci a ricordarti tutto quello che hai fatto e vissuto in una sola giornata.
Fa pensare tanto questo posto a come invece di solito viviamo, alle scelte che facciamo e alle volte in cui ci diciamo che certe cose non sono possibili. Sperimentarle le ha rese un po' più a portata di mano così come quando per la prima volta pianti un seme inutile nella terra e dopo una settimana vedi una piantina venirne fuori.
È stato molto istruttivo stare a contatto anche con questa piccola rappresentanza di artisti e vederlo dall'altro lato della barricata. Considerare che un giocoliere e un pagliaccio rappresentano molto di più che un diversivo per passarsi la serata, ma nascondono una filosofia di vita profonda. Il confronto con prospettive e stili di vita tanto diversi dai nostri è stato a tratti molto duro e frastornante.
Sono stati giorni belli, molto di più di quanto potessimo immaginare e siamo stupiti dai noi stessi e dai cambiamenti che ancora non vediamo ma che ci rimanda chi ci incontra. Come quando xexe ci ha detto che sembriamo dei veri contadini e non ci crede che non abbiamo mai messo mano a una cipolla prima del tempo della huerta.


Oggi di rientro a valencia dopo questo salto nella dimensione parallela di alcasser i rumori della cittá sembrano amplificati e l'iperstimolazione dei negozi, del traffico e delle infinite informazioni stridono tantissimo con il ritmo a cui velocemente ci siamo abituati.
Si apre adesso un altra parte del viaggio che fa parte dei desideri di tutti quelli che pensano di visitare la spagna. Quella parte che tutti raccontano come la vera spagna, quella ferma nel tempo e della quale una volta incontrata non puoi che innamorarti.
La ragazza di javi ne ha fatto una sintesi molto efficace che prendo come un buon auspicio per il prossimo mese e mezzo: “entonces vais a andalucia? Os odio!”

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jueves, 15 de abril de 2010

helena in "consuelo"

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miércoles, 14 de abril de 2010

cumple y malabarismo en la huerta de raul

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lunes, 12 de abril de 2010

primera semana en la huerta

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puerto de Silla, Albufera, festival de cometas a la Malvarrosa

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domingo, 11 de abril de 2010

cronache dall'isola che non c'e'

sesto giorno a la huerta de carmen, cosi' si chiama la casa dalla madonna dipinta sulle mattonelle della facciata. sesto giorno di orizzonti spalancati e non piu' chiusi dalle migliaia di mattoni che costruiscono i palazzi di valencia, una breve visita in centro per sbrigare le ultime formalita' burocratiche con la metro ci ha fatti quasi scappare da posti che fino a 24 ore prima erano piu' che quotidiani.


sesto giorno di sole alla mattina, vento verso il pomeriggio e quiete freddolosa la sera ma che non ha impedito la prima festa della stagione estiva al caldo del falo' o delle danze scatenate a tutta manetta in cui si sono cimentati i nostri ospiti e gli amici che ormai abbiamo imparato a riconoscere per abitanti decentrati della huerta viste le visite quotidiane, i pranzi e le cene sempre con almeno 2 o 3 di loro. oltre a Jimena (leggi himena)  e Raul infatti ci sono Manolo e Pauliña con il cane uggioloso Nusca, Xexe (leggi Cece) e Chico con i loro bimbi gemelli Ivan (leggi Iban) e Darìo, Luli, Helena, Paula e Pau, Marc, Letitia, Rousso con sua figlia Rousso (leggi Russò), il brasiliano Adriano (...), l'irlandese Kyeran (leggi Chiran), l'infinita serie dei 15 fratelli di Giusi e la sua ragazza Patricia, il redivivo Jorge, Antonio e tanti altri di cui ancora non ho imparato i nomi.

tutti o quasi sanno cantare, suonare uno o piu' strumenti e ballare e fanno a turno o contemporaneamente una o tutte queste tre cose perció la casa e' sempre parecchio sonora. Jimena prova a raffica con varie colleghe nel taller ricavato dalla stalla, imperversando nel patio e un po' dappertutto; una sera abbiamo gia' potuto assistere all'anteprima di uno spettacolo preparato, ideato e recitato da Helena e alla fine abbiamo potuto scambiare opinioni e impressioni con lei e Jimena ed e' stato un momento che alla faccia del dietro le quinte!! strabello!!
oggi credo di aver vissuto il primo giorno da effettiva abitante della casa, Raul aveva da fare in citta' e dopo esserci alzati tardi (ieri sera la festa) abbiamo finito di rimettere in ordine a dopo colazione ho preso a sgombrare il patio dalle qualunque cose che son riusciti ad accumulare negli anni, a meta' lavoro circa Jime e Leti mi hanno invitato nel taller (che significa spazio di laboratorio) per fare con loro una serie di esercizi di allungamento, potenziamento e respirazione che servono a loro per le successive prove e performance cui si sottopongono (e che sono decisamente dure!!) e che a me mi hanno lasciata carica come una molla che per tutto il giorno non son stata ferma un secondo. Mentre scancheravo nel patio e le donne provavano, Massi e Jorge son andati all'ecoparc (isola ecologica o discarica che dir si voglia) per buttare un po' delle cose che abbiamo tolto dal taller e dal patio. nel frattempo Marc cucinava un riscotto alle bietole con acciughe, prosciutto e datteri mostruosamente buono che ci siamo spifferati. dopo pranzo siesta, infusion e chiacchiere metafisiche e poi sollazza, fine dei lavori nel patio, innaffiamento, merenda e adesso mentre cuoce il brodo sto scrivendo il post, sono le 21.40, si sta bene.

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miércoles, 7 de abril de 2010

v como ...


Trasloco fatto!
Primo di una lunga serie, o forse dovrei dire l’ultimo di una lunga serie fino ad ora. Evidentemente abbiamo avuto bisogno di un tempo in questi anni per stare senza casa e vivere un nomadismo che ha il sapore della ricerca. Come dice la vecchia jaqueline, la ricerca della casa interiore. Chissà.
Gli ultimi pezzi di mudanza si sono moltiplicati la notte prima di lasciare il piso di valencia, raddoppiando nelle dimensioni, nel peso, nell’ingombro. Oggetti fino ad allora invisibili hanno preso forma ricordandoci che avevamo una stufa, un bollitore, panni sporchi, asciugamani. Il viaggio con bici e zainetto si è così trasformato in un doppio viaggio con bici e zainetto e 2 mega borsoni. Fantozzianamente abbiamo reso possibile l’impossibile, dal percorso in bici fino alla metro carichi come muli, la doppia discesa in ascensore, il tragitto nel vagone abitato di passeggeri incuriositi dal nostro ingombrante bagaglio. Con sveglia alle 9 e colazione veloce, abbiamo concluso il tutto alle 4 del pomeriggio, con pranzo rapido con tutto ciò che avanzava in frigo e in dispensa: fagioli, gelato, un pezzetto di pecorino, un’arancia, un biscotto 3 fette biscottate, due bicchieri di succo di mela, una fetta di torta alla pera. Il granizado al limone è andato in omaggio ad alejandro.
Da tempo non venivamo ad alcasser , a la huerta di raul. Stare lontani da questo posto crea una specie di amnesia rispetto all’effetto che ha sulle persone, rispetto a quello che produce il solo transitare da queste parti. Si attiva una speciale trasformazione graduale e inconsapevole, a partire da quella strana sensazione di ampio, di largo respiro che è un cielo sterminato sopra la campagna. “certo che qui ad alcasser c’è casino di cielo” ha detto la benni mentre ci avvicinavamo alla casa di raul.
Il ritmo qui è completamente diverso e le giornate seguono una scansione regolata dalla luce del sole. Le ore non vengono scandite dall’orologio (è impossibile trovarne uno alle pareti) o da impegni di qualsiasi tipo; solo la fame, il freddo o il caldo, la stanchezza, il sonno, il desiderio di fare altro o fare niente. Sempre la vecchia jaqueline parlava al riguardo del ritmo dell’eternità. Solo stando qui ho potuto riconsiderare cosa intendesse dire.
La nostra nuova stanza è un altillo, una specie di piano a castello, costruito con assi di legno abbandonate, senza parapetto dai lati e una scaletta con 3 gradini per scendere e salire. Tutti i nostri averi sono concentrati in questi 5 metri quadrati, vestiti, materasso, libri, computer e cazzate varie comprese. Ennesimo esercizio di essenzialità. E non è mai abbastanza: la trappola dell’accumulo e dell’allargarsi è sempre perennemente in agguato.
Abbiamo lavorato nell’orto facendo un po’ di tutto: seminare, trapiantare, montare impalcature per pomodori con vecchie reti di letto, innaffiare, invasare, posizionare gomme e canne di fiume.
Nel frattempo la casa si muoveva tra le lunghe preparazioni dei pasti, le lente chiacchiere a tavola, le prove di teatro di jimena e elena, le nuove coinquiline di questi giorni. Ma qui davvero passa di tutto. Ogni giorno arrivano, si fermano e se ne vanno persone di ogni tipo. Un richiamo silenzioso attrae le persone a questa catapecchia arrangiata alla meglio, proprio come d’inverno, sulla deserta riviera romagnola, si vedono arrivare in spiaggia alla spicciolata coppiette e passeggiatori solitari a rimirare il mare.
Che strana sensazione si respira.
Pensare cosa si può fare con così poco.

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sábado, 3 de abril de 2010

V como VIVA Valencia


Tempo di saluti. E saluti per tante persone e situazioni che nel tempo abbiamo creato qui.
In un progressivo svuotamento sta prendendo forma il nostro percorso di rientro verso l’Italia.
È stata una decisione sofferta e a lungo meditata, venuta alla luce durante questo inverno anomalo che non so dire se sia stato freddo o caldo, tanto era piacevole stare fuori per i quasi 10 gradi in più rispetto all‘Italia, come difficile stare in casa senza termosifoni.
Quando si parte si va per cercare tante cose. Puntualmente si finisce per trovare tutt’altro.
Abbiamo così capito che il valore più grande di questa esperienza sia stato il fatto di avere del tempo per noi, sia come persone che come coppia. Un regalo tanto prezioso che abbiamo deciso di concederci fino in fondo, di fatto azzerando la possibilità di prolungare oltre la nostra permanenza. Un regalo tanto prezioso da rimandare al mittente anche quelle già scarse ma comunque presenti possibilità di radicarci qui. Forse è stata anche paura, forse non era quello che cercavamo. Probabilmente avevamo bisogno di un tempo per posizionare le basi per i prossimi passi. Ne è nato un progetto di rientro a Reggio Emilia che per certi versi ha il sapore del passo indietro, per altri quello della rincorsa verso qualcosa di più grande. Ci sono tanti dubbi, tante cose ancora indigeste con le quali dovremo fare i conti. Contiamo che questi mesi sabbatici ci abbiamo insegnato qualcosa e che saremo in grado di metterlo in pratica. Per ora si parte dalla data ufficiale con la quale riprenderemo possesso della nostra pianura: 5 luglio.
Di qui a questa data ci aspettano ancora alcuni mesi in cui abbiamo messo in cantiere diverse cose. Come le più tradizionali mascleta valenciane il finale sarà in crescendo. Domani lasciamo ufficialmente Valencia. La nostra prima casa provvisoria (ammesso che quella di Valencia non fosse provvisoria) sarà la casa del campo di Raul dove per un paio di settimane vivremo in modo intensivo quelle sensazioni che qua e là in questi mesi abbiamo lasciato tra un post e l’altro. Abbiamo raggruppato le nostre cose accorgendoci di quanti oggetti si possano accumulare anche in pochi mesi e in una situazione precaria come quella nella quale ci troviamo. Poi un nostro amico è venuto a caricare le 4 valigie di vestiti, libri e cianfruglie, una ruota da bicicletta, un porta bottiglie, una pattumiera e una pianta di pomodori e il grosso del trasloco è andato. Domani completiamo l’opera con gli zainetti e le mountain bike. Andremo a stare ad una ventina di kilometri da Valencia, nel cuore della pianura di arance e riso. Nonostante questo abbiamo la forte sensazione di salutare la città. Questi ultimi giorni sono stati un lungo commiato dai luoghi che hanno accompagnato questi mesi, le vie, le piazze, i giardini, gli scorci, i colori. Valencia ha dato il meglio di sé, regalandoci un’estate anticipata, cieli azzurri da non sembrare veri come fogli di carta colorata, luci gialle riflesse dai vicoli come solo questo luogo può avere, la sensazione fantastica di stare in giro alla sera a passeggiare con solo una felpa e una sciarpa leggera.
Questa settimana sono venuti a trovarci matti e la chiara e abbiamo potuto accommiatarci dalla città visitando quei luoghi che altrimenti dai per scontato perché troppo turistici per chi si sente già un valenciano di adozione. Siamo saliti sulla torre del miguelete a dominare la città a 360 gradi, con le montagne e il mare a delimitare un intricato disegno di case, strade e palazzi. Abbiamo ripercorso nel giro tondo della torre i luoghi che ci resteranno nel cuore e le distanze che hanno riempito i nostri primi e incerti passi spagnoli fino ad oggi. Abbiamo rivisto le contraddizioni e gli eccessi insensati di questa città, i suoi sapori forti di carne, riso e uova, la pace e il caos mescolati in ogni scorcio.
In una serie interminabile di rituali abbiamo ringraziato Valencia e, come i monumenti de Las fallas dati alle fiamme, ci prepariamo a ripartire con nuovi progetti, nuove attese, nuove sorprese.
Lasciamo la stanza che è stata la nostra piccola e striminzita casa, nelle ultime settimane tornata lentamente alle fattezze del primo giorno in cui siamo entrati, senza più foto, cartine, vestiti sparsi sulle sedie, libri e computer sui comodini, pendagli appesi al lampadario, mobili trovati per strada, piantine di insalata sul terrazzo. Come se nulla fosse accaduto lasciamo lo spazio al nuovo inquilino che da domani darà la sua impronta agli stessi 20 metri di avenida consitucion.
Lasciamo anche Arturo e Alejandro, compagni di viaggio con i quali ce la siamo cavata più che bene e che credo terranno nelle loro menti questa immagine di due italiani un po’ strani, venuti in spagna a fare nonsiècapitobenechecosa. Di sicuro ricorderanno molto bene che la nostra sconosciuta città cercadebolonia nasconde risorse inaspettate.
È bello vedere come le date e le coincidenze accompagnino i nostri spostamenti e come domani, il giorno di pasqua, segni questo passaggio. Davvero non lo abbiamo fatto apposta!
Come non abbiamo fatto apposta a prendere il volo con il quale saluteremo ufficialmente la spagna ad un anno esatto dalla nostra partenza. Li prendo come buoni segni per il futuro.
Intanto grazie e viva Valencia!

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