V-Dias

dal 17 giugno 2009 a seguire, Benni e Massi in vacanza ad oltranza.

domingo, 28 de febrero de 2010

Speciale las Fallas - prima puntata

Ormai da qualche settimana si cominciava a respirare l’atmosfera de las fallas, la super festa di san giuseppe che rende valencia famosa in tutta europa. Per le strade della cittá sono comparse le luminarie, ognuna con il nome e il simbolo di ogni quartiere. Nei discorsi della gente si comincia a parlare della festa e tutte le attivitá lavorative, i corsi, gli allenamenti cominciano a sospendersi, come se il mondo dovesse finire.
Oggi c’è stato il via ufficiale alla follia che da qui al 19 marzo andrá alimentandosi di un misto di confusione, cibo, esplosioni, esagerazioni tanto vino e tanta birra.
Finora ci siamo accontentati dei racconti più o meno credibili ed esagerati di chi ha giá vissuto questi venti giorni di festa crescente. Di certo il solo fatto che gran parte dei valenciani che conosciamo abbiamo in programma di fuggire dalla cittá ci dá l’idea che sará davvero una locura, come in molti commentano. Allo stesso tempo però cresce la curiositá di partecipare ad un evento che prende tutta la cittá e che sembra così tanto radicato nella storia di questo posto. Las fallas non è solo una festa è proprio valencia.
Finora abbiamo capito che si tratta più o meno della festa che segna la fine dell’inverno e l’inizio della primavera e ieri per caso, vedendo Amarcord di Fellini, abbiamo scoperto che si tratta di una tradizione che anche dalle nostre parti perlomeno esisteva. Il concetto è di raccattare tutte le cose vecchie che si vogliono buttare in ogni quartiere, si forma un mucchione di roba e gli si dá fuoco.
Nel tempo qui a valencia le cose sono un po’ cambiate. Qualcuno ha cominciato a dare delle forme a questa accozzaglia di rifiuti fino a costruire delle vere e proprie sculture. Nella follia competitiva tra “contrade” la cosa è andata sempre più raffinandosi, si commissionano le statue a degli artisti con prezzi davvero impensabile, soprattutto se si pensa che poi va tutto in fumo. L’ultima vincitrice, dice la leggenda, valeva 900 mila euro! Anche se fosse solo una leggenda, e anche in realtá valesse un terzo di questa cifra sarebbe comunque qualcosa di inconcepibile, almeno per la mia testa.

Questa sera, all’inaugurazione della festa, un’ondata impressionante di gente si è ritrovata sul ponte davanti alla porta araba della cittá, per l’occasione trasformata con effetto strobo in una specie di gigantesco playmobil (come sempre è) ma con torri cangianti. Sotto hanno messo un palco rosso dove si sono assiepate un po’ di persone e di fallere. Le fallere sono le miss italia di valencia, vestite con un abito come le matrone di una volta. Tra di esse c’era la fallera mayor, cioè quella che lo scorso anno ha vinto il titolo di più gnocca della cittá che ha cantato commossa una serie di inni incomprensibili e ha fatto un super discorso in valenciano che più o meno diceva così: valencian, benveguts a la fiesta meyor del mund!

Delirio da stadio con ovazioni e tamburi e poi mega spettacolo pirotecnico. Proprio non resistono: quando c’è un evento un po’ un po’ bisogna scoppiare qualcosa. In 10 minuti hanno sparato quello che di solito siamo abituati a vedere sparato in mezz’ora. Quello che conta è l’intensitá e soprattutto il rumore. In mezzo ai fuochi colorati si sprecano infinite bombe a mano che richiamano l’effetto della mascletá, il mega triketrak di cui i valenciani vanno matti.
Finita la festa tutti i quartieri radunati a gruppi, con tanto di stemma e pile ufficiale, se ne tornano a casa suonando tamburi, cantando e ballando.

Da un certo punto di vista è una grande taronata, dall’altra è una festa che attrae molto, non solo per la dimensione ma anche per la stranezza di vedere come ogni quartiere si sia organizzato e quanto sia giá palpabile un senso di campalinismo potente.
Ognuno in attesa di questi 20 giorni ha dedicato per tutto l’anno una piccola parte dei propri risparmi a finanziare il mega pupazzone, il cibo, le felpe, il vestito delle fallere e ogni cosa sará necessaria per festeggiare e stare in competizione con le altre falle.
I miei amici falleri giá da tempo mi dicevano che dedicavano la domenica a fare le prove musicali in attesa di questo momento. Decisamente è davvero difficile pensare ad una cosa simile in italia, per lo meno a reggio emilia dove in fatto di feste non ci spingiamo più in lá della giareda e della festa dell’unitá. Ma forse è solo questione di altri tempi. La spagna in questo sembra davvero fissata in un passato molto rustico e alla mano, un po’ come la nostra tradizione contadina.
La cosa bella che abbiamo notato è che sembra una festa davvero di tutti, dai bambini che sparano petardi continuamente, ai ragazzi che suonano, ai più grandi e anche ai più anziani che organizzano e coordinano.
Il problema sembra che proprio perché è una festa di quartiere essa rimane piuttosto privata e a parte il caos che si andrá a creare negli ultimi giorni con l’assalto dei turisti, il cuore della festa resterá nascosto dentro gli stanzoni di ogni falla, dove almeno dal 15 al 19 marzo, solo si mangia, si beve e si fa baracca. Dormire si dorme dal 20 in poi.

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miércoles, 24 de febrero de 2010

V de Verde

primo giorno di caldo vero, dal mattino alla sera, un vento atomico caldo caldo, un sole abbacinante che fa apparire tutto bianco e per me e' gia' estate, e torno dalla mia passeggiata alla sollazza guardandomi nello specchio dell'ascensore ad accorgermi di quante lentiggini ho sul naso che quest'inverno non sono mai andate via, e rincaro l'estate con le finestre aperte in casa a far entrare il caldo di fuori ascoltando baglioni che non c'e' niente di piu' estate che baglioni. faccio questa passeggiata tutti i giorni di sole e quest'inverno sono stati parecchi, a vedere la terra e le piantine spuntare cosi' piano che un giorno e' come un riflesso verde sulla terra chiara e sabbiosa di qui, una peluria come sulla pesca e si vede e non si vede a seconda di come si mette il sole e due giorni e una pioggia dopo e' gia' una moquette compatta ormai quasi un centimetro crescendo sempre, da lontano uniforme e da vicino di una miriade di piantine e fogline diverse, di colori e verdi diversi, di forme, spessori e altezza diversi. e ogni ora del giorno la luce e' diversa, gli odori sono buoni, cattivi, arrivano e vanno non si sa da e dove nell'aria che c'e' sempre, si muove forte o piano ma c'e'. nuvole di tutti i colori ma piu' spesso cielo blu e azzurro e tutte le sfumature in mezzo.
attraverso la ronda norte per arrivare alla rete, entro per la parte aperta e cammino lungo il corridoio di cemento accanto al magazzino delle zucche che e' tutt'inverno che se ne stanno li in silenzio a riposarsi e a vedermi passare tra le sbarre e le assi rotte dell'edificio, salto giu' e giro a sinistra, dietro all'enorme montagna di letamne nero nero, poi a destra costeggiando il vivaio di olivi, li lascio dietro continuando dritto fino al campo di patate. li' a sinistra in mezzo al niente incasinato e dove son appena fioriti dei fiorini bianchi e piccoli di quelli da poco che normalmente ci sono in mezzo ai campi ma che qui danno un tocco molto carino a questo pezzo incolto e un po' pietroso, in fondo monto sul cordolo che divide le patate dal campo di ancora niente che e' largo come 20 cm e devo stare attenta a non cadere che quando c'e' vento a volte mi devo fermare un attimo senno' mi fa cadere e dove sempre ci sono un sacco di uccelli bianchi e neri e grigi che chiacchierano e mangiano e volano un po' piu' in la' quando passo. arrivata in fondo a sinistra e poi destra, passo l'orto fischiante di bottiglie appese di un signore e la casetta diroccata degli atrezzi, poi lungo il campo di cipolle fino all'altra coppia di cordoli con in mezzo il canaletto per irrigare e a seconda di dove tira il vento vado camminando su uno o sull'altro.

in fondo c'e' il "canalone" d'irrigazione e oltre l'agrumento e a seguire il paese e le montagne. io mi fermo qui, con la schiena appoggiata all'argine del canalone, la faccia al sole a vedere il profilo della citta' che arriva.

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V como Visita


Sono settimane dense queste di febbraio. Tanto consistenti da farci smarrire completamente il senso del tempo. I viaggi fatti e le visite ricevute nell’ultimo mese perdono una collocazione precisa e sembrano perdersi in un intervallo variabile tra un settimana e i 3 mesi. Penso che la percezione che abbiamo del tempo dipende molto dalle nostre abitudini e, quando queste sono poco strutturate e soggette a grossi cambiamenti, il ritmo a cui siamo abituati veder scorrere le lancette dell’orologio si stravolge.
Nelle ultime settimane è saltata anche la cadenza con la quale rimettiamo insieme le settimane attraverso i post del blog e mi sono accorto come questo esercizio sia veramente più utile a noi che a chi legge da lontano. Una specie di ordine mentale senza il quale la quantitá mostruosa di stimoli finisce per dileguarsi nel nostro tempo così poco definito. Non che facciamo grandi cose ma anche gli aspetti più banali assumono dentro questa esperienza significati inaspettati.
Come quando dopo essere stati al cinema siamo tornati a casa a piedi dal centro e abbiamo incontrato una cittá deserta e silenziosa in una passaggiata di un’ora e mezza davvero irreale. Sembrava quasi uno di quei film in cui l’umanitá è scoparsa dalla terra e la cittá diventa solo un insieme disabitato di strade e palazzi.
Oppure quando il vento porta un calore inaspettato e a fatica dobbiamo ricollocarci in quest’inverno che non è inverno. Comprendendo ancora una volta di più quanto il clima non sia mai una mera questione metereologica ma qualcosa di molto di più e di molto più complicato.
Abbiamo avuto ospiti, amici e parenti. È bello ricevere qualcuno qui a valencia, sembra quasi di invitarli a casa, dove la casa è l’intera cittá. Ci stupiamo nel vedere il disorientamento di chi arriva e ha bisogno di tutto, non capisce una parola di quello che le persone dicono e con aria pensante cerca di decifrare le scritte nei cartelli che incontra lungo le strade. Ci ricorda i nostri primi momenti di disorientamento e il cammino fatto fin qui fino a sentire che la cittá è già un po’ nostra e a suo modo parla di noi ai nostri ospiti.
Ci trasformiamo così per qualche giorno in turisti affaccendati a mostrare le strade, i palazzi, le bellezze e le brutture di valencia. Camminiamo per ore senza una meta e mangiamo di tutto. La fame e la curiositá si mescolano abbondantemente tra le scelte dei locali e dei menù da condividere. Ci piace più di tutto proporre a tutti questa modalitá di mangiare insieme che abbiamo scoperto da queste parti, in cui si prende di tutto un po’ e si mangia dagli stessi piatti messi al centro della tavola. Para compartir, si dice in questi casi.
Queste visite ci stancano tanto ma allo stesso tempo ci fanno bene. Ci fanno uscire da una sorta di pigrizia mentale nella quale facilmente cadiamo, l’idea di aver giá scoperto tutto di valencia e di aver giá capito tutto di noi qui in questo posto. Invece come c’è sempre un nuovo angolino inesplorato, una nuova porta da varcare, un particolare dimenticato, allo stesso modo possiamo notare quanto siamo cambiati in questi mesi. Come questa esperienza abbia modificato molte delle nostre abitudini e gli occhiali con i quali guardiamo il mondo.
Queste visite sono un altro modo di fare bilanci, diversi da quelli di ritorno ogni volta dall’italia, allo stesso modo consistenti. E ne usciamo ogni volta piuttosto provati e contenti.
In questo periodo mi sto uccidendo di siti di voli aerei, treni e autobus per mettere insieme un po’ di viaggi che abbiamo in cantiere giá da parecchio. Ormai sto diventando un esperto del settore e forse si va realizzando inconsciamente quello che per gioco dico alla benni essere il mio lavoro ideale: organizzatore di viaggi per anziani! Del resto la mia vena ossessiva ha bisogno di un palcoscenico dove esibirsi, no?
Sentiamo che il tempo corre e che molte delle cose che avevamo in mente prima di partire cominciano a restare “inevase” e per questo cerco di incrociare tutti i dati che so nelle mille pagine aperte di firefox, tra andalucia, baleari, salamanca e toledo.
Dopo 8 mesi in cui abbiamo provato in tutti i modi a far quadrare il cerchio, cominciamo a sentire che in questa ricerca rischiamo di perderci tanto di questo paese così diverso dal nostro per quanto possa apparire tanto simile. Quindi tra un mesetto daremo il nostro primo saluto a valencia per dirigerci a sud, a scoprire quella andalucia che tutti ci raccontano, sospirando, come l’essenza e il cuore della vera spagna. Penso di avere in testa un’idea molto lontana da quello che realmente incontreremo: del resto se penso a quello che immaginavo della spagna e di valencia fino a qualche tempo fa mi viene quasi da sorridere. Cosi come quando ho domandato ad una ragazza spagnola inorridita dalle mie precedenti ignoranze geografiche sulla penisola iberica dove si trova san marino e lei mi ha risposto un po’ dubbiosa: mmm, en sicilia?

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domingo, 14 de febrero de 2010

v como voltear

Voltare, girare, capovolgere, rotolare, cambiare, mutare, volteggiare.
Curioso come ognuno di questi significati rispecchi una parte di come mi sento oggi. Nelle sfumature più forti e dure e in quelle più delicate e leggere.
Di ritorno dall’italia ci siamo portati una gran dose di stanchezza, frutto dei giorni fitti fitti di incontri, di parole, di persone e di poche ore di sonno. Una dose continua di scambi intensi vissuti come dentro ad una bolla di tempo e di spazio, al limite tra la realtá e l’immaginazione.
Abbiamo caricato una valigia di emozioni da rivedere e sistemare in questo tempo prezioso di valencia. Ho realizzato che valencia potrebbe essere qualsiasi altro posto nel pianeta e davvero ogni volta si sposta nella mia percezione la sua distanza dal resto del mio mondo conosciuto. Si è trasformata lentamente in una dimensione parallela dove le regole sono diverse, dove le prioritá sono altre, dove l’orologio ha altri ritmi e dove certe cose toccano con nuova intensitá.
Valencia è diventato più un luogo della mia mente che non un luogo fisico, uno spazio di sosta, di pausa dove covare un cambiamento altrimenti impossibile.
Da questo punto di osservazione reggio sembra non solo avvolta dalla sua cappa di nebbia e di freddo, ma da una costrizione ben più ombrosa in cui sembra che le vite di tutti si affannino a trovare una pace difficile. Forse è solo la realtá che è così dura e spietata. Forse no. Forse semplicemente in questo angolo di pianura padana siamo andati fuori rotta e vaghiamo sospesi senza più una direzione. Ma reggio emilia è solo un esempio che probabilmente è comune a tanti altri posti: seguendo uno stile di vita “normale” avremmo facilmente ritrovato anche qui nel levante spagnolo le stesse contraddizioni.
Un altro paio di voli aerei hanno scandito questo ennesimo passaggio in cui ogni volta lasciamo e ritroviamo spagna e italia con uno sguardo nuovo.
L’aeroporto di bologna ci ha salutato sotto una pioggia di ghiaccio. All’arrivo abbiamo ritrovato ancora una volta il cielo spalancato di azzurro: mi piace vederla come una metafora della nostra ricerca di aria nuova, di spazi e orizzonti da respirare. Non solo come la logica conseguenza di latitudini e geografie diverse.
In questo senso il nostro “ritorno per sempre” (così comincia a circolare nelle domande di parenti e amici) non trova risposte. Non solo perché davvero ancora non sappiamo come tradurre in pratica ció che abbiamo imparato in questa esperienza, ma anche perché sia la parola ritorno che la parola per sempre diventano tanto inconsistenti quanto prive di significato. Mi fanno pensare tanto ad una specie di salto indietro, di impossibile tornare a prima che tutto questo cambiamento prendesse piede per immobilizzarlo lì, come se nulla fosse mai accaduto.
Quando ti spogli di tante parti che riempiono il tuo piccolo mondo ti accorgi di quanto siamo piccoli di fronte alla vita, di quanto siamo fragili e protetti da spanne di illusioni. La spagna è divenuta il banco di prova dove esercitare questo svuotamento e prendere coscienza di questa così evidente veritá.
Mi porto dentro l’immagine del suonatore di tamburo gigante giapponese che rappresenta tanto bene la mia idea di uomo di fronte al mistero dell’esistenza. In piedi a combattere contro qualcosa di grande. Sfinito, provato, preso nella sua battaglia sostenuta da una resistenza incredibile. Capace al contempo di creare in questa lotta un ritmo vitale.
Ricordo, quando qualche mese fa abbiamo visto a teatro questa scena, la platea alzarsi in piedi in un applauso infinito, forse senza nenche capire perché, ma con la fortissima sensazione di aver assistito a qualcosa che ci accomuna tutti.

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viernes, 12 de febrero de 2010

primo tentativo gimp

panorama di Madrid, primo tentativo, alquanto cesso, di incollamento foto. si tiene sperando di fare di meglio e notare differenza :-)

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martes, 2 de febrero de 2010

v como vispera


Primi di febbraio e nuova vigilia di partenza per l’italia: la quarta da quando siamo emigrati. Questo giro arriva dopo un gennaio freddo, ma solo per colpa dei termosifoni che non ci sono, altrimenti non ci saremmo nemmeno accorti di essere nel pieno dell’inverno tanta è stata la luce, i cieli azzurri e le giornate senza cappotto. Qui i valenciani si lamentano del freddo che in tutto sono pochi giorni e spesso solo poche ore in alcune giornate. Mentre recitano il loro lamento fatto di gelo e umiditá insopportabili mi tocca sempre ricordare che a reggio emilia ha nevicato e scoppiano i tubi delle caldaie dal freddo e dalle loro facce intuisco che nemmeno riescono ad immaginare l’inverno.
Siamo appena tornati da madrid e giá ripartiamo. Ormai esperti fruitori di voli a basso costo, di check-in on line e di calcoli per il peso delle valigie e per i tempi della metropolitana per arrivare giusti all’aeroporto. Ieri sera abbiamo volato a bassa quota per mezz’ora e dal finestrino passavano le luci di madrid, di albacete e di valencia. Il viaggio è davvero corto e non vale la pena di prendere l’aereo visto che siamo arrivati a casa comunque devastati. All’andata abbiamo approfittato di un passaggio di arturo, il nostro coinquilino in visita a sua moglie nella capitale. Nelle quasi 4 ore di viaggio abbiamo conosciuto un po’ meglio questo sconosciuto con il quale ci incrociamo ogni tanto a pranzo o in cucina mentre scorrevano a lato queste enormi distese di campi di terra rossa che dividono madrid dal mare. Al tramonto c’era una luce spaziale e abbiamo scoperto che a madrid la puesta del sol è preziosa per una non ben identificata ragione legata alla posizione della cittá.
Madrid è molto capitale: metropoli gigantesca con 5 milioni di abitanti, piena di monumenti imponenti che ti ricordano continuamente che questo è il cuore di spagna. Invasa da turisti a tutte le ore lungo la gran via, plaza mayor, il palacio real e la puerta del sol. Abbiamo camminato per ore attraversando parchi e vie defilate scoprendo scorci di nord europa che proprio non ci aspettavamo, gettandoci nel caos del rastro della domenica mattina dove si vende qualsiasi cosa, pezzi di gomma elastica compresi. Sabato siamo riusciti anche ad entrare gratis a vedere guernica ed è stato bello entrare in un museo per vedere una cosa sola.
Siamo stati ospiti di un ragazzo di soria. Toño: ragazzo sulla quarantina, rasato ma con i basettoni. Fotografo di professione, bassista per passione, creativo con ogni oggetto gli capiti a tiro. La sua casa è un museo del riciclo e del ridare vita alle cose vecchie: si potrebbero passare ore a scrutare tutti i piccoli dettagli di ogni stanza, dalla lampada nel casco per parrucchieri, al tavolino su 4 monitor di computer. Naturalmente la benni è andata in estasi e ha fatto foto in ogni angolo a noi accessibile, compresa la ciambella del water.

Nella casa imperversano 4 gatte padrone di ogni centimetro della casa e quindi anche del divano dove abbiamo dormito. A valencia ci siamo riportati una buona quantitá dei loro peli grigi. Toño ci ha presentato diversi suoi amici con i quali abbiamo sperimentato l’incredibile resistenza baristica degli spagnoli capaci di passarsela a bere cerveza e a fumare cigarillos a oltranza dal primo pomeriggio a notte inoltrata. E senza dare particolari segni di cedimento. L’importante è attenersi al detto: si quieres beber tienes que aprender a mear cioè pisciare. Ricordo ad un certo punto la mia incredulitá nel vedere l’ennesima ronda di birra colante comparire sul bancone.

I classici bar spagnoli sono piuttosto piccoli, rigorosamente pieni di fumo e con un tappeto di cicche di sigarette e bucce di arachidi sul pavimento (altrimenti nessuno ci entra, vuol dire che non è un buon bar). Per lunghi tratti ci è sembrato di rivedere pezzi dei film di almodovar con tutti quei personaggi strani e improbabili.
La comida tipica di madrid è una specie di bollito di ceci e carne di maiale in tutte le forme possibili, rigorosamente da mangiare a pranzo o si muore. In un locale addirittura il proprietario accetta la sfida di riuscire a finire la sua porzione di cocido promettendo il pasto gratis ai temerari: nessuno è mai riuscito nell’impresa. Per questo abbiamo mangiato giapponese e cinese. Quest’ultimo merita una menzione particolare essendo un cinese de verdad ovvero la cucina davvero cinese e non adattata ai gusti europei. Nascosto nel posto più improbabile, nell’ingresso di un parcheggio sotterraneo e con una lunga fila di gente per entrare. Per la prima volta abbiamo visto dei cinesi mangiare in un ristorante cinese mentre la tele trasmetteva il karaoke nazionale.
Poi di nuovo qui. Abbiamo rimesso nell’armadio il cappotto che a madrid ci stava tutto e ripreso con le nostre piccole ruotine. La valigia appena svuotata è giá in mezzo ai piedi pronta per essere riempita di nuovo. Sará un altro viaggio lampo, 6 giorni ad alta intensitá, perché, anche se ci ripromettiamo ogni volta di prenderla con calma, avremo voglia di vedere tante persone.
Siamo pronti allo sbalzo termico: da più 15 a meno 10 e ci prepariamo alle nuove riflessioni che vengono dopo ogni ritorno. A volte sembrano dei rompicapo insolubili, a distanza di tempo si manifestano nella loro inoppugnabile semplicitá.

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