V-Dias

dal 17 giugno 2009 a seguire, Benni e Massi in vacanza ad oltranza.

jueves, 10 de diciembre de 2009

v como ver el cielo


Comincio come al solito da questi 15-20 gradi. Che ancora devo mettermi il cappotto e vado in giro con il pile che non ho ancora capito bene in che mese siamo. Chiaramente c’è più freddino e quando tira il vento l’aria punge ma ancora i locali hanno i tavolini fuori e alla mattina devo sempre affacciarmi sul balcone e stare un minutino per decidere se il pile basta o mi serve una felpa sotto.
In tanti dicono che il clima non conta ma tutti quelli che vengono qui a trovarci restano piuttosto turbati dal vedere che il cielo è azzurro anche d’inverno e che il sole può essere ancora tanto caldo. Di solito poi ci mandano bellamente affanculo, come se fosse nostra la colpa di questo clima. Io non credo più a nessuno sul clima. Da 2 mesi mi hanno detto che deve arrivare l’inverno, che questa è l’ultima settimana. Forse abbiamo un’idea diversa di inverno oppure è solo un anno veramente fuori dal comune.
Gli ultimi 10 giorni sono stati molto densi e fatico a ritrovare il filo che avevo lascito nell’ultimo post: le cose che mi girano in testa sono talmente tante che adesso mi risulta impossibile andarle a riprenderle.
Siamo stati qualche giorno ad Alcasser, a casa del nostro amico valenciano Raul. Lì il freddo si sente eccome a ricordarci quanto doveva essere dura la vita dei contadini. Abbiamo fatto un po’ di lavoro nell’orto, via le erbacce, piantato insalata e cipolle e poi ci siamo dedicati un po’ alla casa, a mettere in ordine per non morire congelati. Sistemata la stufa abbiamo segato e raccolto la legna per fare il fuoco e dopo la prima notte passata a letto col cappello siamo riusciti a rendere la pseudostanza da letto bella caliente. Abbiamo anche sperimentato una cena arrangiata a lume di camino con 4 cose arrangiate che sembravano le più buone che avessi mai mangiato in vita mia. Del resto 2 patete al forno, un po’ di pane, del pollo e della verdura avanzata non dovrebbero fare quest’effetto. Eppure questo posto ha qualcosa di magico, nella sua precarietá, nella sua arrangiatezza, nelle mille mancanze ha una semplicitá sgomentante nella quale sembra che tutto sia al posto e al tempo giusto. Domenica mattina ci siamo alzati all’alba e ci siamo beccati 20 minuti di migrazione di uccelli che a zig zag ci sono passati sulla testa nel giallo dei primi chiarori del giorno. Mi sembrava di essere in un altro pianeta.
In questi giorni sono venuti anche alcuni amici dall’italia. A parte ciccio e sissi, c’erano anche francesco, stefano e giulia. Sono venuti a vedere anche loro la magia di questo posto e sono rimasti certamente colpiti anche se un poco assiderati. Diciamo che la mega paella che abbiamo mangiato fino a raschiare il fondo ha aiutato a sopportare anche il freddo. Ed è stato bello vedrli straniti gironzalare tra le stanze scomposte della casa e l’orto pieno di verdura a metá dicembre così come lo eravamo noi la prima volta che abbiamo messo piedi lì.
Poi abbiamo salutato peperoni e cavoli e ce ne siamo tornati a valencia a fare un po’ i turisti insieme alla delegazione italiana. Dopo 3 giorni passati nel niente di Alcasser siamo stati lanciati nella megalopoli di Calatrava e nel ritmo veloce della cittá. Abbiamo mangiato tutto ciò che ra possibile mangiare in 3 giorni, ditruggendoci un po’ fegato e stomaco ma togliendoci un po’ di voglie e di curiositá: così paella, tortillas, pimientos, morcillas, chipirones, jamon, sobrasada.
Era strano trovarci a fare da guida in una cittá che ancora non sentiamo nostra e che forse non siamo in grado di valorizzare per quello che può dare e che solo stare qui a lungo può far comprendere. Ma questo è un tempo che è molto difficile, se non impossibile prendersi, se non percorrendo la follia della nostra attuale migrazione.
Fare il turista è un impegno, una specie di lavoro. Per noi che da giugno non lavoriamo può sembrare ironico ma le gambe e la schiena gridano dopo 3 giorni di camminate, caldo-freddo, parla, ridi. Sono stati giorni belli, di chiacchiere varie e di pausa rispetto al nostro ritmo-non ritmo nel quale ci stiamo coccolando da un po’.
Per la prima volta nella mia vita sto riuscendo a concedermi ore o addirittura giorni in cui non fare nulla e non avrei mai pensato potesse essere una sensazione così piacevole. Mi sto dedicando a cose assolutamente improduttive, dove non solo non guadagno una lira ma addirittura spendo. Tempo che per chiunque se non è buttato sicuramente è mal investito. Ed è paradossale come per ora mi sembra vada bene così. In mezzo a lezioni di tai chi, allenamenti di calcetto, interviste ad immigrati per il volontariato, ore passare a scrivere al computer o a tagliar verdura e sperimentare in cucina.
Sto imparando tanto e ieri ci siamo detti che forse questa è l’esperienza più importante della nostra vita fino a qui. Peccato sia così difficile condividerla. Peccato raccogliere così spesso lo sguardo di incomprensione di chi non riesce a trovare un senso in questa cosa e vede in questo viaggio una perdita di tempo o una fuga. Del resto non è stata una decisione semplice essere qui così come non è stato e non è sempre semplice essere qui. È un processo ormai messo in moto da tanto tempo e che proprio non so dove ci porta. La cosa bella è sentirci in movimento e aperti a quello che viene. Con una inaudita e incomprensibile fiducia in quello che adda venì.

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